ARABIKA
28-10-2023 di Freddie del Curatolo
Il caffè è sempre stata una delle grandi risorse del Kenya, ma non sempre in passato a livello nazionale sono stati fatti tutti gli sforzi necessari a migliorare la sua filiera, ovvero a collegare i coltivatori, che spesso sono riuniti in piccole cooperative e comunità di aree rurali a nord e nord ovest del paese, al mercato.
Nel 2018 di questo parlò l’allora vicepresidente William Ruto, oggi leader del paese e per suo retroterra personale da sempre legato all’agricoltura e convinto che rimanga il settore propulsivo della sua nazione, con le istituzioni italiane, chiedendo un aiuto per valorizzare il caffè keniota.
Lo stato italiano, attraverso l’Agenzia di cooperazione allo sviluppo (Aics) ha fatto molto di più affidandosi al Cefa, un’organizzazione della società civile da sempre specializzata in progetti di solidarietà nel campo dell’agronomia, e dalle fondazioni Avsi e E4Impact.
Sei anni dopo, sono stati presentati nella residenza dell’ambasciatore d’Italia a Nairobi, i primi risultati del progetto “Arabika” che vede coinvolte, oltre alle realtà di cooperazione citate, 21 cooperative di caffecultori di 7 contee del paese, con training specifici, a seconda delle competenze e mansioni, a 30 mila di loro, di cui più di 18 mila già effettuati, la fornitura di macchinari e le migliorie a 42 laboratori per processare i chicchi di caffè, più l’expertise necessaria a creare un brand specifico per ognuno dei prodotti delle sette contee ed organizzare il marketing di conseguenza. “Un progetto pilota, sì, ma sostanzioso” come lo ha presentato il coordinatore del progetto per Aics, Giulio Di Pinto. Si tratta effettivamente di un’iniziativa per cui Aics ha stanziato 3 milioni di euro.
“Attraverso la nostra cooperazione, vogliamo aiutare i coltivatori di caffè keniani a valorizzare il proprio prodotto in termini di qualità, di quantità e anche di prezzo, per avere maggiore presenza sul mercato”, ha spiegato l’ambasciatore Roberto Natali alla stampa, a margine dell’incontro.
Il titolare della sede Aics di Nairobi, Giovanni Grandi, ha confermato il successo di questa operazione che mira a dare non solo know-how e migliorare qualità e produttività nel campo del caffè, ma anche consapevolezza di poter puntare all’arabica del Kenya come uno dei prodotti di punta del proprio mercato.
“Come cooperazione, ci stiamo focalizzando su quattro o cinque settori in Kenya e la valorizzazione dell’agricoltura è una delle nostre priorità – ha detto Grandi – nei prossimi tre anni, l’Italia investirà circa 100 milioni di euro”.
Noi di Malindikenya.net abbiamo partecipato all’evento di presentazione dei risultati raggiunti fino ad oggi, ma precedentemente siamo anche stati “sul campo”, ovvero in uno dei laboratori delle 42 cooperative in cui convergono decine di caffecultori che portano il loro prodotto per essere lavorato.
Abbiamo potuto verificare la bontà di un’operazione che non solo sta dando competenze specifiche, formando giovani e creando la cosiddetta “catena di valore”, ma alimentando la passione, anche attraverso più ampie e realistiche possibilità di guadagno, nei piccoli coltivatori locali.
Abbiamo potuto vedere come alcuni di loro, dopo chilometri dalle piantagioni per vendere il loro caffè ad una delle cooperative della zona di Gathundu, nella Contea di Kiambu, in mezzo a spettacolari colline e verdi vallate, abbiano chiesto di essere pagati in parte con il loro stesso prodotto, lavorato e impacchettato. D’altronde, secondo i dati trasmessi dall’Aics, molti di loro hanno raddoppiato i loro raccolti, grazie all’aiuto italiano e anche ad app e tecnologia loro fornita.
Sentir parlare i manager formati dal Cefa, i tecnici che lavorano alle macchine separatrici e tostatrici, vedere la loro professionalità e l’entusiasmo, è stata un’esperienza che fa pensare che cooperazione non significa solo “solidarietà”, ma trasmissione di competenze, confronto, crescita economica e sociale.
“Siamo una nazione che dall’indipendenza in poi ha potuto in gran parte gestire le immense piantagioni di caffè del paese, che erano state sempre in mano ai colonialisti britannici che non ci permettevano di possederne – ha ricordato il capo dell’ufficio del vicepresidente, George Macgoye – e oggi i keniani non consumano e non conoscono abbastanza il loro caffè. Preferiscono ancora il tè e di conseguenza non sanno come valorizzare questa grande risorsa, a cui il mercato internazionale è sempre più interessato”.
Già, perché con la qualità arabica keniota, si fanno i migliori blend di caffè del mondo, ma sono ancora troppo poche le aziende internazionali e di conseguenza anche quelle italiane che lo acquistano. Ed è anche un problema di marketing, di visibilità e di cosiddetta “brandizzazione”. La nostra cooperazione sta lavorando a questo aspetto, che contribuisce a rafforzare i sempre più stretti e buoni rapporti tra Italia e Kenya, soprattutto nel nome dell’impresa.
“Anche il nostro settore privato, non solo con i grandi nomi del settore del caffè, ma a livello di piccole e medie imprese che sono la nostra forza portante, potrà essere coinvolto nel guardare al Kenya, che è parimenti forte in questo settore”, ha aggiunto Natali.
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