STORIE
27-10-2021 di Freddie del Curatolo
A nove anni, la keniana Elsie Akeyo è la più giovane alpinista africana ad aver scalato il Kilimanjaro fino ad Uhuru Peak, la vetta più alta del continente con i suoi 5895 metri di altezza.
Il 7 ottobre scorso la piccola Elsie, con il fratello Darwin, undici anni e la madre Rachel, quarantacinquenne da sempre appassionata di alpinismo, hanno intrapreso la spedizione insieme al professor Stanley Mwangi, medico di 67 anni, e all’esperto settantaquattrenne Geoffrey Kimachia, che però si è arreso all’ultimo passaggio per arrivare in vetta. Con loro, ovviamente le guide e i portatori maasai.
Elsie, che già lo scorso dicembre con il Rotary Club di Ngong aveva scalato il Monte Kenya, fino alla storica vetta di Lenana Point, piantando la sua giovanissima bandiera sulla cima più alta del suo paese d’origine, legando la sua impresa ad una lodevole iniziativa per salvare le foreste nazionali, ha voluto cimentarsi con il gigante tanzaniano ed è riuscita ad arrivare fino in fondo, dopo cinque giorni di temperature raggelanti, percorsi impervi e nausea da altitudine.
Elsie ha raccontato al quotidiano Daily Nation che la passione per l’escursionismo è nato in lei e suo fratello come “scaccianoia” durante la chiusura delle scuole per la pandemia.
Da qui l’idea della scalata del Monte Kenya, trovata piuttosto facile, e la preparazione di quasi un anno per l’impresa più difficile. Sono due le bambine più piccole di Elsie ad essere arrivate a Uhuru Peak in passato, entrambe statunitensi: Montannah (nomen omen) Kenney di Austin, Texas aveva 7 anni quando nel 2018 realizzò l’impresa, battendo il record della connazionale Roxy Getter che aveva scalato la “casa degli dei africani” un anno prima.
La giovane keniana ha raccontato la sua esperienza in un accuratissimo diario, correlato da foto che hanno riempito i social.
Nel racconto appaiono il grande entusiasmo ma anche le tante difficoltà incontrate durante la scalata. Dal sacco a pelo che non la scaldava a sufficienza la notte, al vomito più volte per l’altitudine, una volta passati i quattromila metri d’altitudine.
Ma anche momenti memorabili, che la ragazzina porterà dentro tutta la vita: “Dormire completamente immersa nella natura – racconta Elsie nel diario – e il piacere del momento della cena con le storie degli anziani, che mi hanno fatto ridere molto. Ho avuto momenti di grande stanchezza, non riuscivo a mangiare la mattina, ma poi i problemi venivano messi in secondo piano dall’incredibile paesaggio, il verde altopiano del Kilimanjaro da cui si gode di una vista fantastica”.
Per tre volte le guide hanno chiesto ad Elsie se se la sentisse di proseguire, ma la determinazione della piccola escursionista ha sempre vinto e ha anche rifiutato di farsi portare in spalla quando sembrava arrivata ad uno stato di debolezza estrema.
“Da 4600 metri in poi – racconta Elsie nel suo diario – eravamo tutti impazienti, nessuno pensava di arrendersi. Abbiamo scattato foto, mangiato con appetito ma poi ci siamo dovuti riparare nella tenda perché soffiava un vento fortissimo. Da lì in poi, notavo l’espressione stupita degli adulti che mi incrociavano nel percorso. Non riuscivano a capacitarsi di come una bimba avesse potuto arrivare così in alto”.
I due fratelli il 5 e il 6 ottobre hanno affrontato poi il percorso più duro, dalle tre o quattro ore di un ripido e pietroso sentiero, con la tenda piantata su una parete così inclinata che la notte non si riusciva a dormire senza scivolare continuamente.
Il penultimo giorno Elsie sperimenta il gelo di arrivare sopra le nuvole ed ormai è solo l’adrenalina a tenerla in piedi.
“Ero stanca, senza appetito, ma determinata ad andare fino alla fine. Ora dovevo evocare tutte le mie energie per la notte, per la vetta – scrive nel suo diario.
La scalata finale è iniziata infatti a mezzanotte, con borracce di té nero e qualche snack.
“Avevo sonno ma dovevo andare. Siamo partiti tutti insieme ma ho iniziato a sentirmi stanca. Mi faceva male lo stomaco e mi hanno detto di bere acqua. Avevano portato dell'acqua calda per me.
Il mal di stomaco peggiorava di minuto in minuto. La mia squadra mi ha suggerito di mangiare del cioccolato. Ho rifiutato. Mi hanno costretto a prendere una bevanda energetica. Ho provato a prenderla, ma questo mi ha fatto vomitare praticamente tutto quello che avevo nello stomaco. A quel punto, non avevo ancora fatto uno dei cinque chilometri della camminata e vedevo davanti a me un percorso ancora più ripido, ma dopo essermi liberata stavo meglio e, nonostante un freddo tremendo, la speranza si è fatta largo e ho preso ritmo. Poi abbiamo trovato un posto per riposarci e ho visto l’orizzonte più alto d’Africa diventare d’oro: l’alba!
Ho bevuto un po' d'acqua e la vista del sole mentre mi riposavo era talmente bella che mi sono temporaneamente dimenticata di essere stanca, mentre mi godevo il primo calore del sole”.
Poco dopo inizierà l’ultima salita, le ultime 4 ore con un drammatico stop a Stella Point, 140 metri da Uhuru Peak, dove le condizioni di salute del “senior” della spedizione si aggravano.
“Ho iniziato a camminare lentamente, facendo delle pause tra un passo e l'altro per riposare. La guida mi ha chiesto se volevo essere trasportata. Ho detto di no; ce la devo fare da sola. Mamma è rimasta con me. Le ho detto di camminare lentamente ma senza fermarsi; in modo che io potessi seguirla. Ci sono stati momenti in cui avevo voglia di rinunciare, ma la mia determinazione era ancora alta. Mi è stato chiesto se volevo tornare indietro con mio fratello. Risposi: "Assolutamente no". Mentre ci avvicinavamo alla vetta ho visto alpinisti riportati giù in condizioni non buone: uno sembrava ubriaco, un’altra era stata messa sotto ossigeno. Ma l’eccitazione sulla cima fu travolgente”.
Nel diario di Elsie sono appuntati con precisione tutti i passaggi dell’impresa storica che racconta non solo quanta gioia e energia possa dare una sfida, ma quanto la bellezza della natura possa entrare nell’anima così profondamente da spingerti oltre l’ovvio, l’abitudine, il conosciuto.
Una medicina di cui tutti stiamo dimenticando i benefici effetti e di cui le nuove generazioni hanno tremendamente bisogno. Anche senza escursioni estreme, chiaramente.
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