AFRICAN LION
19-08-2023 di Freddie del Curatolo
Il leone in Africa è conosciuto non solo per la sua supremazia all’interno del Regno degli Animali, ma per il grande coraggio con cui accetta le sfide e di conseguenza si batte.
Per questo, il medico e alpinista Francesco Cassardo, trentaquattrenne torinese, ha deciso di chiamare il suo progetto di scalare le quattro vette del continente africano che superano i 5000 metri, “African Lion” ed è già a metà percorso, con il compagno di cordata Stefano Roagna.
La legge della roccia è un po’ come quella della savana: gloria, grandezza ma anche dramma e crudeltà del destino.
Così l’impresa di Cassardo tra Kenya, Uganda e Tanzania nasce dopo una tragedia sfiorata ed una purtroppo avvenuta.
Ma c’è anche un altro motivo.
Una promessa è una promessa, specie quando si ciba dell'aria pura e sincera dell'altissima quota.
A raccontare questa storia è lo stesso Francesco, al portale degli italiani in Kenya.
“Il 20 luglio 2019 mi sono salvato per miracolo da un brutto incidente scalando il Gasherbrum VII, una delle montagne del Karakoram, in Pakistan con il compagno di avventure Carlalberto “Cala” Cimenti, maestro di vita e di alpinismo. 500 metri di caduta, ossa rotte e principio di congelamento, il ritorno in Italia e le interminabili cure con un solo desiderio: tornare in quota.
Con Cala avevamo già programmato una spedizione sul Kilimanjaro per l’anno successivo ma per via della mia riabilitazione e poi della pandemia di Covid che ha sconvolto il mondo e chiuso le frontiere, abbiamo rimandato, con il desiderio di fare quell’esperienza africana insieme, scalando tutte le montagne che superano i 5000 metri”.
Cala Cimenti è tutt’ora l’unico italiano ad aver scalato tutte le vette sopra i 7000 metri del territorio dell’ex Unione Sovietica e per questo si è guadagnato il titolo di “Snow Leopard”, leopardo delle nevi. Ma l’amico di Francesco non c’è più, travolto da una valanga nel loro Piemonte, l’otto febbraio del 2021. La montagna è così, ma gli obbiettivi non devono morire, specie se si trasformano in una promessa. Anzi, possono sublimare in qualcosa di utile e necessario.
“Io sono medico e già da quando sono stato con Cala in Pakistan, mi sono reso conto che quello che noi alpinisti facciamo può avere anche un risvolto umano importante, aiutare le popolazioni che vivono nei luoghi del mondo in cui ci rechiamo e dove spesso le condizioni delle persone sono problematiche. Già con Cala avevo deciso che nelle future spedizioni avrei portato la mia competenza medica, oltre a consegnare medicinali e fare formazione. Ci siamo così avvicinati a World Friends, Ong italiana molto attiva in Kenya, per unire alla passione per l'alpinismo anche un aiuto concreto che potevamo offrire. Tramite l’organizzazione di volontariato di Torino “Italian Doctors for Emerging Africa” (IDEA) ho l’opportunità di dare il mio contributo medico in una delle regioni più povere e disagiate dell’Africa Orientale, il Karamoja in Uganda, dove insegnerò ai medici locali ad usare un ecografo donato da IDEA. Sarà la giusta appendice alla scalata delle vette di questa prima avventura, L’Uhuru Peak sul Kibo del massiccio del Kilimanjaro, il Batian e il Nelion sul Monte Kenya e Margherita, Alexandra e Albert sul Ruwenzori. Sul Kilimanjaro c’è anche il Mawenzi, che però era più complesso da organizzare e pericoloso, con licenze particolari da ottenere. Quindi lo abbiamo rimandato. Lo scopo, come per lo ‘Snow Leopard’ in Asia, è istituire il titolo di ‘African Lion’ per chi conquista tutte le vette africane sopra i 5000 metri”.
E’ probabile che Francesco, in questo senso, sarà presto il primo re leone africano delle montagne ma prima ancora sarà un leone della solidarietà. Prima di partire alla volta del Kilimanjaro, con un fundraising, ha raccolto lui stesso donazioni per acquistare un secondo ecografo che probabilmente porterà in Africa quando affronterà il Mawenzi.
Ed eccoci all’avventura africana. Mentre parliamo con Francesco, lui e Stefano sono appena scesi dal Monte Kenya, lungo i percorsi che furono di Felice Benuzzi e dei suoi due compagni d’avventura, prigionieri degli inglesi durante la seconda guerra mondiale.
“Ho iniziato il libro di Benuzzi “Fuga sul Kenya” – ammette Cassardo – ma poi è iniziata la nostra avventura e lo finirò più avanti. Prima del Monte Kenya, però, c’è stato il Kilimanjaro ed è stato particolarmente emozionante anche perché con me c’erano i miei genitori, da cui ho ereditato la passione per l’alpinismo, e la mia fidanzata. Quando tornai distrutto e congelato dal Pakistan, dal letto d’ospedale, io e mio padre ci siamo fatti la promessa: ‘andremo insieme sul Kilimanjaro’, e così è stato. Fantastico vedere insieme quei paesaggi incredibili, anche se si è trattato, almeno per me, di una scalata un po’ da turista”.
E ancora più emozionante, nelle parole del medico alpinista torinese, è stato affrontare il Monte Kenya.
“Una montagna splendida e severa, che ricorda le nostre alpi, te la godi tutta e c’è un’organizzazione di guide esperte che ti fanno sentire a tuo agio. Con le classiche avventure africane di contorno, come svegliarsi all’alba in tenda e vedere una mandria di bufali non troppo lontano da noi…da brividi. Ma non avrei mai potuto fare il primo Monte Kenya della mia vita senza dormire nel bivacco Howell, sulla cima Nelion, senza godermi l’alba e il tramonto. E’ stato indimenticabile”.
Tra pochi giorni, il Ruwenzori in Uganda, altra avventura completamente diversa, sia come spedizione che come paesaggi, prima dell’esperienza di aiuto al prossimo che Francesco tanto desiderava e che l’amico Cala lo spronava a fare.
Perché l’Africa è questa: natura, destino, vette e sprofondi, vita.
Ed un vero leone di montagna lo sa.
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