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IL KENYA DI OGGI

Se anche i maasai iniziano a mangiare il pesce...

Il clima cambia abitudini e sopravvivenza anche in Kenya

05-09-2024 di Freddie del Curatolo

I cambiamenti climatici stanno cambiando anche le abitudini alimentari di milioni di persone, specialmente laddove il cibo non è anche piacere, ma quasi esclusivamente sostentamento per non morire di fame.
In quelle situazioni, come peraltro anche nel mondo più civilizzato accadeva un tempo, le pietanze sono frutto del proprio lavoro, delle abitudini, delle coltivazioni del proprio terreno e della sottomissione degli animali che vivono nelle stesse zone.
Quello che sta accadendo anche ad un popolo universalmente conosciuto per le proprie ancestrali abitudini di vita, è emblematico. Anni di siccità, inondazioni e malattie dovute a fenomeni atmosferici estremi, stanno portando i Maasai del Kenya a nutrirsi per la prima volta nella loro storia millenaria, con alimenti con non siano latte, sangue e carne bovina.
I guerrieri che scesero dalla Nubia più di duecento anni fa e si fecero pastori, si trovano a fronteggiare una grave crisi alimentare, per via della perdita di milioni di capi di bestiame.
Un reportage dell’Associated Press spiega che mentre gli anziani delle comunità maasai sperano che i problemi siano temporanei e di poter presto riprendere la loro vita tradizionale di pastori, alcuni si stanno adattando a un tipo di cibo che non avevano mai imparato ad apprezzare.
Non chiedete, ad esempio, ad un anziano di un villaggio ai piedi del Kilimanjaro di mangiare del pesce: i pesci sono stati per lungo tempo considerati serpenti d’acqua, quindi creature del demonio, di conseguenza non commestibili. Senza contare il loro odore sgradevole che non appartiene alle loro zone semiaride.
“Non abbiamo mai vissuto vicino a laghi e oceani, quindi il pesce è sempre stato molto estraneo per noi - ha dichiarato ai suoi intervistatori Kelena ole Nchoi, capo del consiglio degli anziani Maasai -, siamo cresciuti vedendo i nostri anziani mangiare solo mucche e capre”.
Tutto tra la tribù più iconica di Kenya e Tanzania è sempre ruotato attorno alle mucche. Chi possiede più capi è la persona più potente, così per il commercio e per prendere la donna desiderata in sposa.
Nel 2023 però l'Autorità nazionale per la gestione della siccità del Kenya ha dichiarato che erano morti 2,6 milioni di capi di bestiame, per un valore stimato di circa 1 miliardo e mezzo di euro.
Parallelamente, l’urbanizzazione ha limitato sempre più le zone di pascolo disponibili, costringendo i pastori maasai ad adottare nuovi metodi per cercare di sopravvivere.
Il reportage mostra come nella contea di Kajiado il governo locale stia sostenendo progetti di piscicoltura per i pastori, incoraggiandoli anche a mangiare pesce.
Sono particolarmente le donne che se ne occupano, lasciando l’artigianato e la manifattura di oggetti con perline. Certo, molte di loro preferirebbero di gran lunga allevarli per venderli e con il ricavato comprarsi della carne, ma non sempre il baratto conviene, così nella loro dieta oggi appare il tilapia, e sempre più spesso la verdura.
Ma c’è una via di salvezza per molte comunità maasai, quella di continuare a poter mangiare carne e bere latte (anche se con sapore diverso), iniziando ad allevare cammelli. I cammelli sono più cari (sugli 800 euro l’uno) rispetto alle mucche (sui 350), ma sono più facili da allevare perché si nutrono principalmente di arbusti e possono sopravvivere in condizioni più difficili, quindi durano più a lungo e sono abituati a sopportare anche mesi di siccità. Il passaggio dai bovini ai camelidi è un dato di fatto sensibile soprattutto nella terra dei “cugini” Samburu, nella regione di Laikipia e oltre Isiolo.

TAGS: maasaimasaimucchesamburuancestraliclimatico

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