FOTOGRAFIA
05-02-2024 di Freddie del Curatolo
Non c’è solo la nostra Leni Frau, nell’interessante mostra fotografica collettiva “Ubuntu, Humanity and Environment” che è stata inaugurata sabato scorso alla Ardhi Gallery di Nairobi, con una corposa partecipazione di pubblico già da subito.
La fotografa italiana in Kenya che privilegia la vita e la storia delle comunità locali e dei singoli individui, con un occhio al sociale e la stessa passione di chi scrive per il ribaltamento di certi luoghi comuni sull’Africa attraverso una narrativa realista che a volte può dare fastidio sia al “buonismo” miope, sia alla rassegnazione di chi non vede altro futuro che pasturare nel neocolonialismo, ha esposto gli scatti tratti dalla sua serie “No ghosts in Dandora”, insieme a quelli di altri 19 artisti keniani, africani ed olandesi che accomunano visioni di “resilienza, interazione con le derive dell’umanità e dell’ambiente” con il modo personale di rappresentarle.
L’aspetto più coinvolgente della mostra, curata da Myrna van der Veen, a sua volta autrice di una spettacolare visione quasi pittorica del lago Magadi, è proprio la personalizzazione, ovvero come ogni fotografo ha messo in risalto situazioni molto simili, come il degrado, la sofferenza, la malattia, l’esclusione, la riconquista dell’ambiente e la ricerca dei propri spazi, utilizzando metodi narrativi originali e lavorando a suo modo le immagini prodotte.
La cruda realtà la fa da padrone, nella carrellata di opere esposte in questo giovane e accattivante hub creativo poco lontano dall’aeroporto Wilson. In questo è “padrona di casa” la Mwelu Foundation, che dallo slum di Mathare, grazie al fotografo Julius Mwelu che iniziò in maniera rudimentale riprendendo le violenze postelettorali del 2007 che proprio a Mathare ebbero effetti devastanti, con decine di morti, ed è andato via via documentato la vita nello slum, facendo crescere una scuola di giovani talenti che hanno intrapreso una via alternativa al “vicolo cieco” della vita ai margini della legalità e della speranza.
“Avevo due alternative in quegli anni per emergere e non sprofondare – ha spiegato Mwelu – o sparare con la pistola o scattare con la macchina fotografica. Ho scelto la seconda e ora cerco di dare anche ad altri la possibilità di scegliere”. Le immagini sono a volte crude, a volte didascaliche ma danno comunque speranza e si vede anche talento. Così come c’è bellezza nei colori accesi del matrimonio nubiano nell’altro grande slum della capitale, Kibera, nell’obbiettivo di Kevin Kimani, e nelle immagini vive e parlanti di Alfred Wango, anche lui di Kibera.
Un discorso diverso merita Dennis Otieno, artista concettuale che mette in scena “immagini parlanti”, predisponendo veri e propri set in mezzo alla città e raccontando i cambiamenti e i pericoli della loro insostenibilità. In mezzo a tanti altri interessanti artisti keniani e al ghanese Lomotey, “Ubuntu” presenta anche immagini di maestri olandesi che colpiscono al cuore e legate con un filo diretto ad iniziative sociali: da segnalare i ritratti di Erik Hijweege di ragazzi albini, di grande impatto, e il reportage di Jeroen Van Loon sui malati di cancro, con immagini in bianco e nero e un uso impietoso della luce che non possono lasciare indifferenti.
In mezzo a questo panorama di bravura quasi mai fine a sé stessa, bene si inseriscono le immagini di Leni sulle donne della discarica di Dandora, la più vasta e degradata d’Africa.
Immagini che documentano il percorso della fotografa insieme alle donne che di mestiere raccolgono la spazzatura e vivono in condizioni di degrado totale.
Con uso minimo della postproduzione, lasciando che la fotografia sia quanto più possibile specchio della realtà, Leni ha camminato con le donne raccoglitrici di spazzatura sotto il sole cocente di mezzogiorno (ora ripudiata dai fotografi, per via della luce ovunque) in un paesaggio terribilmente surreale, tra aria irrespirabile e condizioni al limite dell’umano, dove si ribaltano i luoghi comuni di chi vede semplicemente l’ingiusto.
“Il realismo delle “waste pickers” colpisce allo stomaco e silenzia ogni forma di facile buonismo o di pietismo anche in buonafede – ha ribadito la fotografa di origine marchigiana - Le raccoglitrici non sono “fantasmi” come spesso i media le definiscono, vogliono anzi essere considerate lavoratrici, e lottano per essere riconosciute come tali, per avere i diritti che altri lavoratori, solo perché operano in condizioni meno degradanti”.
Personalmente. è stato particolarmente emozionante, assistere alle impressioni e al coinvolgimento di giovani e meno giovani della "middle class" keniana presenti all'inaugurazione, nell'approcciarsi al neorealismo delle donne di Dandora che non vogliono essere considerate fantasmi, né che nessuno si debba vergognare di o per loro. E' impensabile che Il Kenya (e Nairobi in particolare) possa avere una sola "realtà", ma si può fare in modo che ognuno conosca tutte le versioni dell'essere keniano, senza semidei o fantasmi, ma persone con le loro fortune ereditate o guadagnate e soprattutto i relativi diritti.
Ubuntu sarà visibile per tutto il mese di febbraio alla Ardhi Gallery (Ole Sangale Link Road, tutti i giorni tranne il lunedì, dalle 10 del mattino alle 8 di sera. L’ingresso è libero.
CLICCA QUI PER LEGGERE LA PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA
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