Editoriali

L'APPROFONDIMENTO

Aeroporto di Malindi 'italiano', perchè si può fare

Piano Mattei, Adani Group e i debiti del Kenya aiutano

09-10-2024 di Freddie del Curatolo

“Ora o mai più” non è uno slogan per l’eternità del continente in cui è apparso per la prima volta l’uomo. Ma dopo decenni di speranze, tentativi, sgomberi, progetti, ricorsi, stanziamenti, marce indietro, questo sembra essere il momento cruciale a Malindi per prepararsi a veder arrivare voli diretti intercontinentali.
Nessuna illusione, per carità, chi scrive annusava già l’odore di carburante dei Boeing nell’aria ancora pulita della Malindi-Mombasa Highway trentacinque anni fa, e qualche anno dopo salutò l’arrivo del primo charter da Orio al Serio, via Luxor, per poi tornare a Fokker, Bombardier e prese per i fondelli fino ad oggi.
Oggi però il Kenya, per salvare la sua economia e la faccia della classe politica che negli anni e con differenti governi lo ha portato fino a qui, con la complicità dei giochi finanziari internazionali, è di fronte a scelte dolorose che stanno iniziando a prendere forma: vendere o dare in gestione i propri “asset” per ripagare il debito pubblico incontrollabile e scongiurare il default.
Se per situazioni come il porto di Mombasa, le priorità vanno a chi ha direttamente contribuito a creare il debito, sviluppando infrastrutture e progetti, anche per i propri interessi, per altre per lo Stato keniano si tratta di trovare partenariati utili ad incassare soldi e allo stesso tempo garantire servizi, migliorandoli se possibile. Tutto ha un prezzo, ma può anche essere frutto di collaborazioni a livelli alti ed istituzionali, o nell’ambito di rapporti bilaterali con Paesi che possono poi sbloccare altre opportunità.
Per quanto riguarda nello specifico l’aeroporto internazionale di Malindi, il cui sospirato adeguamento per ricevere voli internazionali diretti cambierebbe completamente l’appetibilità della destinazione turistica (di cui Watamu è la perla emergente, ma altre località, come ad esempio Mambrui, sono tutte ancora da sfruttare), qualcosa sta accadendo.
Innanzitutto, se andasse in porto l’affare che vede impegnato il governo a firmare un accordo di gestione per 30 anni dell’aeroporto Jomo Kenyatta di Nairobi alla società indiana Adani Group, ciò costituirebbe un precedente importante e per la prima volta il Kenya si approccerebbe all’idea di sviluppare il “project financing” e di migliorare il Paese affittandolo, per non svenderlo.
E’ una possibilità “di mezzo” da prendere in considerazione.
Chiaramente, nessuno fa niente per niente, è la legge degli affari.
Adani Group, che ha già 37 aeroporti in gestione o di proprietà in Asia, nei suoi contratti chiede in concessione per molti più anni, i terreni adiacenti all’aeroporto, per sviluppare progetti edilizi e commerciali paralleli. In cambio, lo scalo sarà ripensato, ampliato e ammodernato e i servizi migliorati.
La bozza di accordo ha scatenato i sindacati, non coinvolti nelle trattative iniziali, causando scioperi, mentre attivisti e blogger (che ormai si sono sostituiti all’opposizione inesistente o alleata della maggioranza) hanno denunciato i rischi di un contratto del genere. Rischi che non entrano nel merito tecnico o del “quantum”, ma hanno un solo denominatore: la corruzione. La paura è che dietro all’ufficialità della cessione, ci sia tanto “nero” per i politici e che alla fine il denaro di cui il Paese ha disperatamente bisogno, finisca nelle tasche dell’oligarchia al potere.
Però c’è del buono in accordi come questo, se avvengono alla luce del sole e la magistratura, l’anticorruzione e l’attivismo li monitora e li segue: possono essere replicati in altre situazioni simili.
Ecco che entra in ballo l’aeroporto malindino, con l’interesse italiano.
Da tempo alcuni imprenditori illuminati di Watamu si sono mossi tra Nairobi e Roma per valutare la fattibilità di un progetto che potrebbe coinvolgere aziende italiane e creare un indotto di impresa ed interessi nel settore pubblico e privato. Il periodo è ideale, data la convergenza di importanti vetrine come il Piano Mattei per l’Africa del governo Meloni, dove il Kenya ha un ruolo da paese pilota, di coinvolgimento diretto nell’economia keniana da parte di grosse aziende italiane come ENI e Leonardo, ad esempio, e la possibilità per altre realtà di attingere a soluzioni assicurative e finanziarie dal gruppo SACE e dalla Cassa depositi e prestiti, che dovrebbe prossimamente aprire una filiale a Nairobi, e concertare appunto con il Kenya situazioni vantaggiose ed integrate per lavorare all’idea di un aeroporto internazionale gestito dall’Italia a Malindi. Senza dimenticare la recente dichiarazione congiunta dei ministri delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e della ministra keniana della Difesa, Sopyan Tuya, pronti a fare del centro spaziale Luigi Broglio di Malindi-Ngomeni un hub continentale per la ricerca aerospaziale.
L’incontro di due giorni fa tra l’Ambasciatore d’Italia in Kenya, Roberto Natali, e il ministro dei Trasporti keniano, Davis Chirchir, è significativo. Non solo dell’impegno delle nostre istituzioni per aumentare la collaborazione tra i due Paesi, ma per capire quali siano da parte del governo di Nairobi gli ultimi scogli da superare per arrivare all’espansione dell’aeroporto, accedere ad un prospetto economico di un’eventuale operazione e fare magari da tramite per i soggetti che intenderanno investire.
Tra tante chiacchiere ascoltate e rigettate negli anni passati, questo è un approccio decisamente nuovo ed in linea con l’attualità del Kenya, e delle sue relazioni con Roma. Kenya che non dovrebbe lasciarsi scappare l’opportunità di provare a creare i presupposti per raggiungere un accordo, simile o anche diverso da quello tra JKIA e Adani Group. L’evoluzione è tutta da seguire.

TAGS: aeroportojnternazionaleMalindiAdaniMattei

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