EDITORIALE
03-06-2024 di Freddie del Curatolo
E’ un mare di rifiuti che non ti rifiuta, anzi è pronto ad inghiottirti per farti capire ancora meglio come sia stato vomitato da te e dai tuoi simili.
Colline, sprofondi, piane e radure, crepacci e saliscendi creati da immondizia di ogni genere compongono il paesaggio più tristemente iperreale del Kenya, conosciuto e celebrato per ben altre scenografie memorabili.
12 mila metri quadrati di degrado, 850 tonnellate al giorno di rifiuti che in gran parte restano in superficie oppure bruciano, rendendo l'aria tossica.
E’ la discarica di Dandora, alle porte della capitale, dove la gente indossa i pochi vestiti buoni che ha e li ricopre di stracci sporchi, i bambini allenano la vergine fantasia rovistando tra milioni di oggetti scartati, fino a quando una malattia non scarta loro dal girone infame in cui sono capitati, senza aver commesso nessun crimine in una vita precedente.
La discarica di Dandora c’è perché un paese in via di sviluppo, da qualche decennio a questa parte, pensa prima ai massimi sistemi che a crescere nei servizi essenziali. Il Kenya divora i tempi come fa un felino predatore in savana con le inermi gazzelle. E chi divora, onnivoro e bulimico, inevitabilmente defeca e vomita.
La discarica di Dandora c’è anche per un altro motivo, che si riesce a lucrare anche sul vomito.
Riciclo è una delle parole più abusate, buoniste e speranzose del nuovo millennio, ma per l’Africa riciclare non è verbo nuovo, lo si fa da sempre per sopravvivere: ogni ferro vecchio ha un nuovo utilizzo, ogni mobile, utensile, brandello di stoffa, persino oggetti di plastica o di vetro, trovano una collocazione utile. Ora che riciclare è diventato uno dei principali aneliti di salvezza del pianeta, non sembra vero a chi conosce bene la materia, di poterci guadagnare sopra.
Dandora è il regno dei cartelli di avvoltoi che si prendono i rifiuti, approfittando dell’infinitesimale lavorio, degradante e sottopagato ma in grado di trascinare al giorno dopo uomini, donne e i loro figli che vivono intorno alla discarica. Gli avvoltoi arrivano prima del calar del sole e ritirano plastica, vetro, metalli, pelli e stoffe. Tutto quel che possono rivendere anche a chi poi proporrà, al prezzo deciso dal suo marketing pieno di buoni sentimenti, i suoi prodotti “green”, riciclati al 100%.
Questa è Dandora, la valle dei rifiuti d'oro e dei rifiutati, delle buone intenzioni e degli abusi, che adesso potrebbe scomparire…o evolversi.
Il comune di Nairobi, nei giorni scorsi, ha infatti avuto il via libera dall’Alta Corte del Kenya, per consegnare Dandora ad una società cinese. Il progetto è ambizioso, la costruzione di un termovalorizzatore da 330 milioni di euro, per trasformare i rifiuti della discarica in energia.
Entità private ed organizzazioni non governative avevano presentato una petizione, sostenendo che l’impianto avrebbe creato ulteriori problemi di salute a chi vive nelle zone limitrofe e che la popolazione e i residenti di Dandora, che per diverse ragioni saranno i diretti interessati dalla costruzione del termovalorizzatore, non sono stati informati né hanno avuto la possibilità di esprimere le proprie rimostranze, benchè l’approvazione di ogni progetto, per legge, debba essere preceduta da uno o più incontri pubblici. Curiosamente, specie per chi non conosce una certa Africa, il giudice ha stabilito che la causa è stata presentata troppo presto per giudicare se possa esserci qualsivoglia prova di “violazione del diritto ad un ambiente pulito e sano” e che il processo di pubblicizzazione, valutazione e aggiudicazione della gara d'appalto non riguarda l'uso e l'occupazione della terra e pertanto la Corte per l'ambiente e il territorio non ha il potere di dichiarare illegale o meno tale aggiudicazione.
Un progetto sui rifiuti, lo dice la parola stessa, non si può rifiutare.
Come certe proposte di Pechino.
Secondo studi della Regione Lazio, a proposito dell’annunciato progetto per la discarica di Malagrotta, fuori Roma, vivere vicino ad un termovalorizzatore aumenta il rischio di malattie respiratorie, cardiache e cerebrovascolari, oltre ovviamente al rischio di tumori, in particolare tra le donne. Gli scienziati del Dipartimento di Epidemiologia spiegano che il processo termico legato alla combustione dei rifiuti, rilascia nell’aria svariate sostanze, in particelle fini e meno fini, tra cui metalli pesanti come il mercurio e il piombo, e prodotti di combustione incompleta come diossine e benzene.
Per il comune di Nairobi si può fare, per i cinesi manco a dirlo, per la giustizia è prematuro parlare di rischi per un popolo di fantasmi che si aggirano tra i rifiuti e che spesso hanno la vita più breve di una diagnosi.
Anche la giustizia, in un paese in via di sviluppo, è un “work in progress”: tu inizia a fare, poi si vedrà. E ci sono le buone intenzioni, si andrà fino in fondo.
Pare che i cinesi vogliano provarci davvero. Hanno promesso che i raccoglitori di Dandora, prima di passare saranno coinvolti nella costruzione del termovalorizzatore e quelli in gamba e volonterosi, a tempo debito verranno impiegati. Servirà l’expertise di chi per una vita ha rovistato nei rifiuti, ha selezionato cocci di bottiglia o ciabatte di gomma? E soprattutto, come si ricicleranno o saranno riciclati gli avvoltoi?
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