Solidarietà

SOCIALE

Kenya: calano i sostegni a distanza dall'Italia

Si punta a famiglie e a programmi...e non chiamiamole adozioni

27-06-2019 di Freddie del Curatolo

In Kenya non è più tempo di sostegni “a distanza”, né tantomeno di quelle che impropriamente vengono chiamate "adozioni".
Sono molte le cause che hanno portato al calo verticale di questa forma di solidarietà verso quello che, tra i tanti Paesi africani con situazioni di povertà estrema, è uno dei più visitati dagli italiani.
La crisi economica dell'Europa e dell'Italia in particolare, che porta incertezza sul futuro, certamente non aiuta, così come il problema dell'immigrazione non ha trovato sfogo adeguato nell'ormai celebre slogan "aiutiamoli a casa loro".
I dati che ci arrivano dalle tante onlus che operano sul territorio, parlano chiaro: le persone di cuore esistono ancora, ma piuttosto che il semplice aiuto nella crescita di un ragazzo, l'affezionarsi ad un "figlio d'Africa", si viene attratti da campagne occasionali o emergenze sanitarie, oppure si preferisce effettuare donazioni generiche, senza concentrarsi su un solo bimbo, con il rischio di non poter portare avanti il sostegno nel tempo.
Ma c'è anche un'evoluzione positiva della solidarietà: da qualche tempo a questa parte chi vuole aiutare gli infanti e i minori lo fa in presenza di programmi che abbinano al semplice sostegno degli obbiettivi a lungo termine (istruzione, inserimento nel mondo del lavoro o semplicemente reinserimento in famiglia) e si rivolgono ad organizzazioni che abbracciano questa filosofia, in linea con le nuove direttive del Paese africano in tema di assistenza ai minori.
Tempi e cambiamenti a parte, noi di malindikenya.net il termine “adozione a distanza” in effetti non è mai andato a genio e da anni lo sosteniamo in questi spazi.
L’adozione, per definizione, dovrebbe rivolgersi ad un bambino senza genitori o in affido definitivo ai servizi sociali.
In Kenya sappiamo bene che di veri orfanotrofi ce ne sono sempre stati pochi, ultimamente inoltre c’è stata una riforma dei “children center” che sono stati trasformati in case famiglia dove l’obbiettivo é puntare al ritorno dei minori disagiati nel nucleo familiare. 
Un tempo il concetto di “adozione a distanza” indicava l’atto di solidarietà attraverso un contributo economico periodico col quale le Onlus provvedevano alla sussistenza, alle rette scolastiche e all’assistenza sanitaria di un bambino. Ma anche in quel caso, adozione in quell’accezione era una parola usata impropriamente, non avendo valenza giuridica, sociale ed affettiva.
In questo caso si può parlare di “sostegno a distanza”, ma anche qui qualcosa in Kenya sta cambiando, nel senso che ci si allinea a quelle che sono direttive internazionali. Direttive che puntano alla promozione della famiglia e al diritto dei minori a vivere all’interno di un nucleo familiare, favorendo formule alternative definite “alternative family care”, fra cui possiamo citare l’assistenza ai familiari, l’affidamento, fino ad arrivare alla custodia o all’adozione (in senso giuridico), solo come ultima soluzione possibile, peraltro in Kenya di non facile ottenimento.
“Anche Karibuni Onlus ha riscontrato un calo di  circa il 30% in questi ultimi 3 anni dei sostegni a distanza – spiega il Presidente della NGO, Gianfranco Ranieri - Per noi le cause sono molteplici. Un calo generalizzato dell'economia e per molte persone la cifra richiesta ( mediamente 300/400 euro annuo) diventa rilevante se si è  perso il lavoro per esempio.  Poi le persone non gradiscono avere un impegno pluriennale, anche se in molti specificano che non è  un obbligo fisso. Poi anche qui tante situazioni poco chiare e poco trasparenti,  in tutto il mondo.  E come tante cose  ci sono evoluzioni e novità”.
Quali possono essere i modi alternativi più efficaci di aiuto diretto ai più piccoli in Kenya?
Ne parliamo anche con Mariangela Alterini, Presidente di Watoto Kenya Onlus.
“La nostra associazione segue gli obiettivi internazionali di sviluppo sociale e li ha messi in pratica in Kenya già dal 2017, attraverso una scelta di modifica radicale nel nostro progetto, almeno un anno prima che poi queste intuizioni in materia di assistenza venissero recepite dalle direttive politiche di questo paese – racconta Alterini - Abbiamo proposto alla comunità e territorio di riferimento, Makobeni, la chiusura dell’orfanotrofio che avevamo aperto nel 2005, la sua riconversione ad uso socialmente utile a favore della stessa comunità (boarding school) e l’attivazione di un nostro programma di assistenza dei minori in famiglia. Mai ci saremmo sinceramente aspettati una reazione ed approvazione così favorevole in primis dagli stakeholder locali coinvolti (famiglie, comunità del villaggio, insegnanti e ragazzi), e poi da quelli istituzionali.  Dopo un anno potevamo quindi certificare anche i risultati qualitativi e quantitativi che ci hanno portato ad essere invitati alla conferenza internazionale sui diritti dei minori (ICP - International child protection conference a Nairobi in agosto 2018) proprio per presentare questa best practice ad un pubblico internazionale del corno d’Africa. Abbiamo testimoniato e misurato un cambiamento etico e metodologico. Il progetto, che coinvolge tutti i bambini che erano nel nostro orfanotrofio, consiste nell’assistenza alle famiglie dei minori, orfani di entrambi o uno dei genitori. Il genitore restante o i tutori che se ne prendono cura sicuramente vivono una situazione di estrema difficoltà, madri sole costrette a ripartire da zero, nonni anziani che si prendono cura dei nipoti orfani, e così via. L’assistenza fornita è modulata sulle diverse e peculiari esigenze di ogni famiglia, sempre tenendo conto delle 3 aree principali: educazione, sanità e abitazione.
Ogni famiglia viene responsabilizzata offrendo la possibilità di essere formata e sostenuta anche in piccole attività generatrici di reddito (es. potenziamento e innovazione dell’orto di famiglia, piccolissime attività commerciali) o potenziando il loro ambito lavorativo (es. aumento del capitale o delle risorse utilizzate nel lavoro). Vengono così creati micro progetti di assistenza sociale e di sostentamento a lungo termine, specifici per ogni famiglia, monitorati mensilmente dando così la possibilità di revisione e riadattamento. Le famiglie non sono solo beneficiare passive degli interventi di assistenza sociale a favore loro e del bambino, ma anche attori attivi per la propria riscossa all’interno dell’intervento di potenziamento sotto forma di attività generatrice di reddito. Nel nostro caso specifico, alcune famiglie sono diventate nostre fornitrici di prodotti alimentari da loro coltivati (pomodori, patate ecc.) nel programma alimentare che sosteniamo alla Gandini Primary, generando così un sistema di micro economie in loco a chilometro zero. Insomma una sostenibilità economico, sociale e ambientale reale. La valutazione dell’impatto sociale ed economico dimostra quanto il supporto al minore all’interno del proprio nucleo familiare sia vantaggioso sia per l’individuo che per la famiglia e di conseguenza per la società in generale, con effetti positivi sullo sviluppo psico-sociale del bambino e sul benessere e sullo sviluppo economico della famiglia, senza considerare che le risorse economiche impiegate in questo nuovo modello di protezione dei minori sono inferiori di circa il 30% rispetto alle risorse che erano necessarie per il mantenimento di un’istituzione (orfanotrofio o casa famiglia che si voglia chiamare)”.
Gianfranco Ranieri conferma la tendenza a seguire programmi che non comportano unicamente un gesto di solidarietà, ma che abbinano all’aiuto i crismi dell’utilità sociale.
“Molti nostri donatori preferiscono fare donazioni mirate ( donare per programmi alimentari per i bimbi, acquisto animali , banchi ) – conferma Ranieri - senza sentirsi impegnati per lunghi periodi. Poi la donazione mirata , per chi viene, è  più immediata e forse anche più appagante. I nostri programmi alimentari per le scuole viaggiano di pari passo con lo sviluppo delle nostre fattorie a Langobaya, quindi sostenendo le serre, gli orti e i pollai, in pratica si nutrono gli studenti che con una corretta e continua alimentazione hanno performance migliori e sono più invogliati a proseguire gli studi, spinti a maggior ragione dagli stessi genitori”.

TAGS: sociale kenyasolidarietà kenya

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