LA SETTA DEI DIGIUNI
05-10-2023 di Freddie del Curatolo
Mentre l’opinione pubblica keniota sembra già essersi dimenticata di uno degli episodi più incresciosi della storia del paese e i familiari di oltre 450 persone attendono ancora la certezza che tra i corpi decomposti riesumati da fosse comuni nella foresta di Shakahola ci siano loro cari scomparsi da tempo, nuovi inquietanti risvolti emergono dalle indagini degli investigatori che stanno facendo luce su quanto è accaduto dallo scorso aprile a poche decine di chilometri dalle bianche spiagge di Malindi e Watamu, dove nessuno ha mai sospettato che la lucida follia di un predicatore avesse potuto portare ad un vero e proprio massacro.
Oltre 450 seguaci della “Chiesa internazionale della buona novella”, ribattezzata “Setta dei digiuni” trovati morti, altri 263 ancora da recuperare, 97 persone salvate in stato di deperimento e 37 arrestate, tra cui ovviamente il sedicente pastore che chiedeva ai suoi fedeli di astenersi da cibo e bevande “per poter vedere Gesù in paradiso prima dell’arrivo della fine del mondo”.
Di questo ci eravamo già occupati, e si parlava di come l’ingenuità, la buona fede, l’ignoranza e la mancanza di riferimenti solidi e rassicuranti da parte della società potessero aver spinto tante persone, non solo disperate ma anche della piccola e media borghesia keniota, a seguire i dettami di un guru del genere.
Negli ultimi giorni, come riferisce il quotidiano The Standard, si è scoperto molto di più: nella foresta sulla strada per il parco nazionale dello Tsavo, sono state rinvenute 214 “stanze della tortura” dove, secondo gli investigatori del governo, gli adepti non solo erano costretti a digiunare, ma venivano torturati ed in alcuni casi direttamente uccisi. “È chiaro che siano stati costretti a digiunare ed è stato ordinato loro di non rompere il digiuno e di evitare di essere scoperti dagli estranei", ha dichiarato uno degli investigatori, aggiungendo che nelle presunte stanze della tortura sono stati recuperati pezzi di stoffa, corde ed altri strumenti che sono stati descritti come “oggetti orribili”. Le autopsie su molte delle vittime hanno rivelato segni di strangolamento e colpi ricevuti, mentre da testimonianze di pastori e gente dei villaggi vicini a Shakahola, alcuni dei seguaci di Mackenzie e particolarmente le donne, erano legate e sorvegliate da uomini col machete, per impedire loro di scappare e procurarsi cibo.
A due passi dalle vacanze di migliaia di cittadini, anche keniani, all’oscuro di tutto, per almeno tre mesi si è consumata una delle più terribili carneficine del Kenya moderno, nel nome di un dio preso a prestito da un probabile serial killer tra i più efferati mai apparsi sulla scena di un paese che, dalle scorribande dei ribelli Mau Mau più di sessant’anni fa, trasportati dalla visione dell’indipendenza ma comunque protagonisti di fatti di sangue, ha sempre mostrato perlopiù il suo lato pacifico.
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