CRONACA
20-03-2024 di Freddie del Curatolo
Sono passati ben undici mesi da quando nella foresta di Shakahola, una settantina di chilometri all’interno di Malindi, sulla bella strada asfaltata che porta all’ingresso del parco nazionale dello Tsavo, furono trovati i primi cadaveri in una fossa comune.
Da allora, nel terreno gestito dal controverso predicatore di Malindi, Paul Mackenzie Nthenge, di salme ne sono state riesumate 429, per quello che è stato definito come “il massacro di Shakahola”.
Mackenzie aveva convinto molti dei fedeli della setta che aveva fondato, la “Chiesa Internazionale della Buona Novella” a digiunare, perché a suo dire la fine del mondo era prossima, il Diavolo avrebbe preso le redini del pianeta e l’unico modo per salvarsi era morire puri per poter incontrare Gesù in paradiso.
Così i fedeli hanno consegnato i loro (pochi) averi e li hanno scambiati con una capanna nella foresta, dove raccogliersi in preghiera ed astenersi al cibo fino alla morte.
Alcuni dei fedeli hanno portato con loro tutta la famiglia, bambini compresi.
Sono stati alcuni parenti preoccupati a dare l’allarme e da allora sono scattate le investigazioni.
Mackenzie è in prigione a Malindi dal 15 aprile 2023 e in tutto 95 altri suoi fedeli sono stati accusati di essere suoi complici. Per 38 di loro, che sono egualmente in galera, sono stati formulati ben 238 capi d’accusa per omicidio colposo. Secondo gli inquirenti, molte delle 429 vittime infatti, tra cui bambini, non sarebbero morte d’inedia, ma “aiutate” a morire, anche con l’uso della violenza. Le autopsie effettuate su cadaveri in avanzato stato di decomposizione sono riuscite comunque ad evidenziare segni di strangolamento o di ferite da corpi contundenti.
C’è voluto tutto questo tempo per effettuare gli esami del DNA, dopo le autopsie degli oltre 400 corpi identificati, e poterli restituire alle famiglie. La consegna è avvenuta ieri, proprio mentre la Corte di Mombasa rifiutava per l’ennesima volta agli avvocati di Mackenzie e dei suoi presunti complici la libertà provvisoria su cauzione. Il sedicente pastore resterà in carcere mentre il processo procede.
Il presidente keniano William Ruto, precedentemente, aveva chiesto per il capo della “setta dei digiuni” la condanna per genocidio e terrorismo. In Kenya, virtualmente (ne abbiamo parlato recentemente, in relazione ad un altro caso, leggi qui) vige ancora la pena di morte, ma di fatto non viene applicata da più di 30 anni. Di certo sarà difficile per Mackenzie evitare l’ergastolo e, data l’evidenza dei fatti, quasi impossibile che ciò avvenga, nonostante le situazioni paradossali, anche nel campo della giustizia, che spesso l’Africa ci abbia mostrato.
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