KENYA NEWS
14-08-2024 di Freddie del Curatolo
Sono durate più di un anno le indagini della Procura della Repubblica keniana per portare a processo il controverso predicatore Paul Mackenzie Nthenge, fondatore della “Good News International Church”, meglio conosciuta come la “Setta del digiuno”, un culto estremo che predicava l’astensione al cibo per poter ascendere al Cielo e vedere Gesù prima che il mondo venisse conquistato da Satana.
Questo il verbo del sedicente pastore, che già in passato era passato sotto il torchio della giustizia per aver tentato di convincere i giovani ad abbandonare la scuola pubblica per abbracciare la sua chiesa ed i suoi insegnamenti. Evidentemente non fu preso troppo sul serio e la sua attività di fidelizzazione non è stata monitorata, al punto che più di cinquecento adepti si trasferirono tra il 2022 e il 2023, in un terreno di sua proprietà (o competenza) nella foresta di Shakahola, a 70 chilometri da Malindi sulla strada per il parco nazionale dello Tsavo. Qui avrebbero iniziato a digiunare, lasciando tutti i loro pochi averi al predicatore e ai suoi complici (secondo l’accusa, 94 persone compresa la moglie) in cambio di una capanna.
Alcuni vi si trasferirono insieme alla famiglia, anche con bambini piccoli.
A marzo dell’anno scorso, testimoni indicarono alla polizia una fossa in cui furono rinvenuti quattro cadaveri in chiaro stato di deperimento fisico, prima della morte. Da lì, dopo l’arresto preventivo di Mackenzie e dei primi collaboratori trovati a Shakahola, le ricerche nella foresta hanno portato a scoprire un numero impressionante di corpi, in fosse comuni. Secondo gli inquirenti, quelli riconducibili al macabro rito sono 429, gli inquirenti indicano in più di 450 il numero delle vittime e per la Croce Rossa i membri che risultano scomparsi sarebbero ben 610. Un massacro, come è stato chiamato, per il quale l’accusa ha alla fine delle indagini formulato 238 capi d’accusa di omicidio colposo, istigazione al suicidio, maltrattamenti su minori e violenze. Il presidente William Ruto, lo scorso autunno chiese di formulare anche l’accusa di genocidio e terrorismo. Lunedì scorso è iniziato finalmente il processo. Lo Stato, attraverso gli avvocati della Procura Yamina Jami e Peter Kiprop, presenterà quelle che definisce “prove inconfutabili” contro il leader del culto di Shakahola e i suoi presunti complici.
Il caso ha avuto grande eco a livello mediatico e non solo in Kenya. Dopo la scoperta, altre chiese non riconosciute e sette legate al credo in maniera deviante sono state messe sotto torchio ed ora le regole per ottenere le licenze di professare altri culti sono molto più rigorose. In Kenya esistono più di mille chiese, soprattutto legate al protestantesimo. Ma anche culti di predicatori che, essendo una sorta di capipopolo e muovendo possibili voti alle elezioni, sono finanziati dalla politica.
La speranza è che la sentenza per la “setta del digiuno”, quando arriverà, potrà cambiare questo sistema perverso che, non solo in Africa, è molto più vicino al concetto di Satana, delle paure delle anime semplici e ingenue.
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