KENYA NEWS
26-06-2025 di Freddie del Curatolo
La tensione era nell’aria da giorni, a Nairobi. Era nella preoccupazione dei commercianti che rinforzavano le serrande dei loro negozi, negli istituti scolastici che avvertivano alunni e genitori che sarebbero rimasti chiusi e in chi ha rimandato qualsivoglia attività ai giorni successivi.
Ma era soprattutto nella mente dei giovani, delle migliaia di giovani pronti a manifestare, sia per commemorare quelli meno fortunati di loro che esattamente un anno fa hanno trovato la morte in piazza, spesso senza aver portato alcun offesa e senza la possibilità di difendersi, sia per protestare contro le repressioni della polizia.
Tensione che ha avuto il suo sfogo e ha dato ragione a chi si aspettava, non solo nella capitale, una giornata di proteste, scontri e violenze. Il conto delle vittime, anche quest’anno, è alto. In serata i morti accertati erano 12, ma l’esperienza ci dice che tra i ricoverati negli ospedali in condizioni gravi (almeno 83, riferiscono le agenzie) e quelli non ancora ritrovati, il bilancio potrebbe salire. Più di 400 i feriti.
Quasi tutte vittime dell’eccessivo uso della forza da parte della polizia, che fin dalla mattina ha sbarrato le potenziali vie d’accesso al centro, con i dimostranti che facevano altrettanto per impedire l’inseguimento delle camionette nei loro confronti, dopo essersi addentrati seguendo percorsi alternativi. Città blindata e sbarrata come poche volte si era visto, con reticolati di filo spinato a proteggere il parlamento dato alle fiamme proprio il 25 giugno di un anno fa, e la State House, il palazzo presidenziale. Come sempre Ruto è l’obbiettivo finale delle proteste, i giovani non si daranno pace finché non avrà dato le dimissioni o non sarà rieletto alle prossime votazioni del 2027.
I primi lacrimogeni sono stati sparati a metà mattina, ma la dispersione dei dimostranti, colpevoli solo di avere cartelli, cantare slogan e addirittura giocare a calcio o a pallavolo in strada, non ha sortito l’effetto sperato. Tra i feriti dai lanci ravvicinati dei candelotti, un giovane che ha perso la mano ma anche una poliziotta che è stata aiutata dagli stessi dimostranti a riprendersi e da loro è stata caricata su un’ambulanza. Il primo giovane morto è stato ucciso dalla polizia fuori da un negozio della cittadina di Matuu. Non è detto che fosse un attivista, infatti in giornate come queste molti ragazzi escono con l’intento di unirsi alla folla che è lì per un motivo più nobile, per saccheggiare attività e cercare di penetrare in qualche negozio. Questo è accaduto specialmente in cittadine meno preparate alle violenze, come Nyeri, dove è stato svuotato un supermercato Naivas, Nanyuki e Nyandarua. Altri ancora invece sono teppisti professionisti , “guastatori” assoldati da chi ha interesse a screditare il movimento dei giovani, la cosiddetta Gen Z ed a far passare le manifestazioni pacifiche come pura violenza. Non contento, il governo tramite l'autorità delle telecomunicazioni, ha deciso di imporre ai canali televisivi lo stop alle dirette delle manifestazioni e due canali nazionali, KTN e NTV che non lo hanno fatto, sono state oscurate.
Ma ai giorni nostri è più difficile usare queste tattiche senza essere smascherati: sulle piattaforme social, specialmente su X, girano immagini eloquenti, di come in passato questi “goons” siano stati protetti e spalleggiati dalle forze dell’ordine. C’erano anche loro, in piazza il 25 giugno. Ma a fare notizia sono state le migliaia di persone che hanno sfilato nelle strade della periferia, ma anche a Mombasa, dove la manifestazione pacifica ha stupito le stesse autorità, a Malindi e nelle regioni nordoccidentali sul Lago Vittoria, storicamente roccaforti dell’opposizione, simboleggiata da Raila Odinga. Ma oggi l’opposizione non c’è, Odinga è di fatto un alleato del governo Ruto e con il presidente era a Kilifi, al funerale del padre del governatore Gideon Mung’aro. Da lì Ruto ha mandato un messaggio ai giovani, pregandoli di non devastare la nazione “è l’unica che abbiamo” ha detto. Anche parecchie madri di giovani che credono di cambiare questo Paese potrebbero dire lo stesso dei loro figli, ma purtroppo parlandone al passato.
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