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27-10-2022 di Freddie del Curatolo
I baobab del Kenya sono inevitabilmente destinati a scomparire, a meno che il nuovo governo non prenda delle tempestive e necessarie contromisure per fermare lo stillicidio di abbattimenti da parte di privati e aziende proprietarie dei terreni dove sorgono da secoli. Pratica che non è vietata, ma semplicemente regolamentata da licenze che è facile ottenere, pagando un permesso come si trattasse di un arbusto qualunque.
A questo scempio che non solo si abbatte sulla natura, ma anche sull’uomo perché il baobab è fonte di vitamine gratuite, è un potente antifame (e mai come in questo periodo sarebbe importante utilizzarlo, specie per i bambini) ed un simbolo culturale e tradizionale importantissimo, si aggiunge ora l’esportazione.
Avete capito bene: esportazione. Negli ultimi mesi un imprenditore miliardario dell’est europeo nell’entroterra di Kilifi ha acquistato baobab per 5000 tonnellate, li ha sradicati e messi in gabbie di ferro per trasportarli in Georgia e impiantarli, dice lui, in un grande giardino botanico in patria.
I contadini locali, proprietari dei terreni dove i baobab, tra cui uno di 2500 anni di età stimata, hanno venduto i loro esemplari per una cifra che varia dai 100 mila ai 300 mila scellini (tra gli 850 e i 2500 euro l’uno). Piante ancestrali di valore inestimabile, simboli dell’Africa e della sua natura che ha resistito ad ogni schifezza umana, violentati ed uccisi per due sporchi danari, senza che nessuno muova un dito.
Le uniche voci che si sollevano sono quelle degli ambientalisti, come Gus Le Breton di Baobab Alliance, che ha chiesto che vengano approvate leggi specifiche per proteggere le piante ancestrali.
Dal canto suo l’imprenditore georgiano ha detto ai media che in realtà, esportando i baobab, sta evitando loro una fine peggiore.
“Ho deciso di acquistare i baobab dopo aver sentito che i residenti li stavano abbattendo per far posto alle coltivazioni. Li uccidevano anche senza di me perché volevano piantare il mais. Non vedo nulla di male se salviamo l'albero, che non può essere usato come legna da ardere o carbone. Non vedo alcuna tragedia. La vera tragedia è uccidere gli alberi per niente".
Il “niente” di cui parla l’imprenditore è la fame estrema a cui la gente dell’entroterra costiero è arrivata, per colpa della siccità, causata anche dalla deforestazione. Se invece di spendere soldi per esportare, trasportare e tentare di ripiantare alberi millenari che pesano tonnellate, si aiutassero i contadini, spiegando che un baobab nel suo campo da coltivare è solamente un valore aggiunto, il mondo e questa parte d’Africa girerebbero in maniera diversa.
Tempo fa noi di Malindikenya.net avevamo preparato una campagna per salvare i baobab, partendo da una mappatura di quelli più antichi e storici della costa. Stavamo per lanciare un crowdfunding per produrre alcune puntate di una serie sui primi esemplari videoripresi e fotografati. Poi è arrivata la pandemia e tutto è stato sospeso. Oggi, due soli anni e mezzo dopo, tutto sembra quasi inutile. Nel nostro piccolissimo, però, la battaglia continua.
Questo era il promo del progetto, con la sigla musicale scritta insieme all’amico cantautore Stefano Barotti.
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