Editoriali

EDITORIALE

Da Zaccagni a Zakayo, giovani in piazza in Kenya senza né 'panem' né 'circenses'

Le proteste pacifiche e i canti di una Generazione Z più sveglia della nostra

25-06-2024 di Freddie del Curatolo

Sarà che gli italiani il “panem et circenses” ce l’hanno ormai nel sangue, ne sono assuefatti, drogati e soffrirebbero dolorosissime crisi d’astinenza, se ne fossero privati. Di tutte le anestetiche evoluzioni da circo che distolgono gli italiani dai “cattivi pensieri” nei confronti di chi li governa, il calcio è sicuramente la più potente. Se la religione (era) l’oppio dei popoli, il pallone resta la più appassionante delle morfine.
Non si scende più in piazza per i propri diritti, ma si è pronti a farlo per uno scudetto o una coppa europea, festeggiando tutta la notte.
In Kenya è tutto giovane, e non conoscono il latino. Qui è sempre stato che era già tanto se c’era il pane, il circo si faceva anche gratis, per dimenticare che non c’era nulla per cena.
In più, tra tutte le appartenenze possibili della giovane democrazia keniana, il calcio e in generale lo sport, non sono tra quelle di cui ci si può vantare. La nazionale fa abbastanza pena, e i funzionari corrotti dello sport non sono mai riusciti a creare team competitivi nemmeno a livello continentale.
Il risultato è quello dell’individualismo dei maratoneti, che non vedono l’ora di monetizzare la loro fatica e il loro talento e trascorrere più tempo possibile all’estero.
Ecco forse perché i giovani keniani in questi giorni hanno deciso di scendere in strada e manifestare contro il governo che aggiunge nuove e fantasiose tasse alla vita già dura di un paese che da anni si è indebitato con i paesi più ricchi e con le istituzioni bancarie internazionali e non riesce ad uscirne, soprattutto perché dilaniato dalla corruzione. Giovani che si radunano tramite i social, che cantano, sorridono e si fanno i selfie mentre sfilano, ma che sfidano una polizia nota per le sue maniere non certo accomodanti. Com’è accaduto la scorsa settimana, si può morire con un lacrimogeno sparato nel petto o con un colpo di pistola, pur sfilando pacificamente senza nessun oggetto contundente o arma in mano. “Phones, not stones”, è scritto sui volantini della Generazione Z.
Zeta, come Zaccagni.
Mentre a Nairobi e nelle principali città del Kenya migliaia di giovani credono ancora, “magari  con un po’ di presunzione” come cantava Giorgio Gaber, “di cambiare il mondo”, più di dieci milioni di italiani hanno esultato all’ultimo secondo della partita degli europei Croazia-Italia, per il gol di Mattia Zaccagni che ha portato gli azzurri al turno successivo.
Zeta, come Zakayo.
I giovani hanno ormai soprannominato il presidente keniano William Ruto “Zakayo”, ovvero Zaccheo, come il biblico esattore che Gesù riuscì a convertire. Molti di loro avevano creduto alle sue promesse in campagna elettorale, per i giovani delle classi medio basse, era il nuovo che avanzava, contro il vecchio sistema clientelare e tribale. Non avevano fatto i conti con la politica e con le congiunture internazionali.
D’altronde se il Kenya non fosse così appetibile, futuribile, sotto i riflettori internazionali, sarebbe probabilmente al soldo di qualche presidente sovrano, se non dittatore.
Il Kenya è una democrazia, quella in cui si dovrebbe poter manifestare pacificamente per i propri diritti e, dopo che l’attuale governo ha proposto una tassa del 16% nientemeno che sul “panem”, i giovani hanno deciso che del “circenses” si può continuare a farne a meno.
Come andrà, si canterà, dicevano gli antichi greci.
C’è già chi ha messo la protesta in musica, usando il linguaggio giovanile del rap. “La frusta di Zakayo” è la canzone che spopola. Tutto l’opposto del “po popopoppo po pò” da stadio.
Non sarà una partita di calcio. Speriamo che oggi, martedì 25 giugno, sia una giornata pacifica di primavera per il Kenya, e non di repressione e morte.
 

   

TAGS: generazione Zprotestemanifestazionepanem

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