Sono passato a cercarti, ma non eri più al solito posto, in una delle poche case di muratura del villaggio sulle rive dell’antico fiumiciattolo che ha creato la grande insenatura di Kilifi.
Ho pensato che fosse anche normale non trovarti, dopo 12 anni.
Che già avevi una certa età e che qui non si vive mai troppo a lungo.
Ma un po’ ci speravo…

Eri il “mzee ya kijiji”, l’anziano saggio di quell’agglomerato di capanne di fango e palme secche, della verde distesa di cespugli di cui tu, più di chiunque, ma certamente meno delle tue mogli e sorelle, conoscevi le foglie, le radici, e le loro proprietà curative.
Mi avevano colpito i tuoi occhi, che proiettavano luce oltre ogni campo di mais ed ogni banano della vallata, il sorriso che abbracciava ogni viandante come fosse uno degli oltre cinquanta nipoti.

Mi divertiva considerare la tua somiglianza con qualche attore dei film francesi degli anni Cinquanta, dipinto di nero, o con il Fernandel che interpretava Don Camillo.
Per quello, forse, non mi ricordo il tuo nome e, nei miei ricordi, ti chiamo sempre Don.
E sono bei ricordi, durante la camminata della pace dei Mijikenda che ci fece transitare, dodici anni fa, nell’entroterra di Kilifi, lungo i sentieri che portarono gli antenati delle nove tribù della costa keniota dalle colline Galla, al confine con la Somalia, fino alla terra promessa di Godoma, dove sorge l’attuale Kaloleni.

Dell’incontro con te, oltre alle splendide foto di Leni, rimarrà impressa nella mia memoria la tua parlantina forbita in kiswahili, che culminava in brevi sentenze, pronunciate in inglese, per farmele comprendere ancora meglio e come segno di rispetto (inutile con me, ma coltivato come necessità nell’adolescenza coloniale) nei confronti dell’uomo bianco.
Una di queste resta per me un grande insegnamento.

C’era chi quel giorno si lamentava della pur difficile situazione del presente, di un mondo che perde i suoi valori e le altre cose che sappiamo.
Tu dicesti: “E’ nel presente che ci si sveglia, ogni mattina e si va a vivere. Nel passato non si sveglia mai nessuno, dunque non conviene viverci”.
Ecco, ero passato per ringraziarti di questo, Don.
Perché anche grazie alle persone come te, non sono "passato".